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GIOVEDI' 29 GIUGNO 06 ALCUNE OPERE DI URS LUTHI IN MOSTRA AL MUSEO DI VILLA CROCE A GENOVA


GIOVEDI' 29 GIUGNO 06 ALCUNE OPERE DI URS LUTHI IN MOSTRA AL MUSEO DI VILLA CROCE A GENOVA

Giovedì 29 giugno 2006 alle 17.30 al Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce verrà presentato il libro Il ritratto dell’artista, in generale, di Philippe Lacoue-Labarthe, professore emerito all’Università di Strasburgo e uno dei maggiori filosofi francesi contemporanei, a cura di Tiziano Santi per l’edizione Il Melangolo, 2006. In concomitanza verranno esposte alcune opere di Urs Lüthi tra cui gli autoritratti di Trash & Roses, 2005, una sequenza da Un’isola nell’aria, 1975, un grande autoritratto degli anni Settanta, pezzo unico, e due autoritratti più recenti. Il ritratto dell’artista, in generale, di Philippe Lacoue-Labarthe, professore emerito all’Università di Strasburgo e uno dei maggiori filosofi francesi contemporanei, a cura di Tiziano Santi per l’edizione Il Melangolo, 2006. In concomitanza verranno esposte alcune opere di Urs Lüthi tra cui gli autoritratti di Trash & Roses, 2005, una sequenza da Un’isola nell’aria, 1975, un grande autoritratto degli anni Settanta, pezzo unico, e due autoritratti più recenti.

“L’arte richiede la domanda” – scrive Ph. Lacoue-Labarthe nelle prime pagine del suo Il ritratto dell’artista, in generale. Ma non si dovrà intendere, precipitosamente, questa formula come espressione dell’esigenza, da parte dell’arte, di ricevere un chiarimento ad opera dell’interrogazione filosofica. Se l’arte richiede la domanda, e la domanda per eccellenza come domanda filosofica, è perché nel suo operare, nel suo fare artistico, essa è l’apertura stessa del domandare. L’arte è, nel suo sorgere, il dischiudersi dell’orizzonte dell’interrogazione quale fonte e limite stesso dell’interrogazione. Ecco il ritratto dell’arte in generale secondo Ph. Lacoue-Labarthe: che è anche un ritratto della filosofia di fronte all’arte, come ritrarsi della filosofia di fronte all’arte, tratteggiato a partire da un’opera singolare,

Just another story about leaving (1974) di Urs Lüthi. Philippe Lacoue-Labarthe ci pone di fronte a nove autoritratti fotografici di Urs Lüthi per interrogare l’arte: e nel movimento stesso dell’interrogazione mostrare che, in verità, non si possono rivolgere domande all’arte, tanto più se filosofiche, perché è l’arte stessa – nella forma sua singolarissima di ri-guardarci – ad interrogarci, silenziosamente, facendo vacillare le nostre certezze, cancellando le nostre risposte, e facendoci esperire, proprio così, inermi e come davanti alla morte o alla nascita ammutoliti, il nostro non sapere. Se ciò che non si può dire non bisogna tacerlo ma scriverlo – per riprendere le parole di Jacques Derrida – Ph. Lacoue-Labarthe scrive l’impossibile a dirsi che si ri-trae  nei nove autoritratti fotografici di Just another story about leaving. (Simone Regazzoni)

Il discorso verte sull’artista svizzero Urs Lüthi, nato a Lucerna nel 1947 e attivo tra Monaco di Baviera e Kassel, nella cui Kunsthochschule der Universität insegna dal 1994. In trent’anni di attività creativa ed espositiva sull’area di fotografia, pittura, performance, installazione, video, grafica, oggetti, si connota come autore di una mitologia individuale ora sottilmente ironica, talvolta  profondamente amara e disincantata, sempre perdutamente erotica. La sua figura non cessa di portare il  segno, come lui stesso dichiara, dell’ambivalenza. In questa luce lo abbiamo incontrato nel 2000, al Lenbachhaus di Monaco, con il ciclo di opere Placebos et Surrogates, l’anno successivo, con il ciclo di opere Art for a Better Life, nel padiglione svizzero della 49. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, curata dal grande Harald Szeemann, recentemente scomparso. A partire dagli anni Settanta l’artista si confronta, nelle sue sequenze di autoritratti, con la questione dell’autenticità dell’opera non disgiunta da quella dell’aura. In otto hic et nunc di un volto, il suo, si offre in sacrificio, esponendosi sullo scenario dell’arte come effetto di resistenza di un eidolon, emancipato tuttavia dal cultuale e colto in un slittamento del sesso. Cosa resta del soggetto nell’autoritratto in fotografia? Dalla scrittura sull’opera di Urs Lüthi scaturisce un luogo di appuntamento con l’identità del tratto-ritratto in fotografia e pittura, nelle sue instabili forme come nella sua statuarietà marmorea, nella fuga di specchi tra la preferenza/referenza materna e la figura terza paterna, la seduzione del duale e l’interferenza del simbolico, in quella gioiosa e crudele altalena freudiana che è il da! della presenza e il fort! dell’assenza. Di quali somiglianze/differenze segnaletiche, oblii o ricordi, narrano le opere? Di un Atopos dell’immagine che conduce a un Logos/Topos dell’essere in pittura, del Kronos di una maschera mortale che inaugura l’Akronos dell’insorgenza di un soggetto immemoriale? C’è dell’altro. Si coglie, fin dall’esordio del testo, dalla pratica della citazione, dagli autori richiamati da detta pratica, una necessità e un’urgenza di parola sull’irrappresentabile del soggetto rappresentato, sulla natura di soggetto della pittura. Si coglie l’esigenza di fissare dei punti sull’identità in perdita dell’arte, in una fase epocale di slittamento dei paradigmi estetici sulla pellicola scivolosa di quello che un tempo era un impero – non è Roland Barthes a vaticinarlo? - e ora è solo un mercato dei segni. Cosa resta del soggetto nell’autoritratto in fotografia? E poi in quale percentuale l’artista è ancora autore della sua opera? Dove va a collocarsi il dialogo che egli intrattiene con la forma di se stesso, con quella dello sguardo dell’altro, con l’equivoco della comunicazione, quando il singolare dialoga con il plurale, il genere con il transgender, la dimensione del collettivo entra nell’ordine del connettivo, quando l’ordine è, familiarmente e complicemente, accompagnato al caos? Lacoue-Labarthe nel visitato soliloquio del Portrait de l’artiste, en général (Bourgois, Paris 1979) assume a pretesto di una riflessione sulla coppia arte e filosofia l’opera appunto di Urs Lüthi…giusto a titolo di esempio – e quale esempio! Nella forza seduttiva della sua scrittura si iscrivono le questioni dell’origine e della fine, dell’infinito dilatarsi del finito, dell’io, del doppio. Non è Jean-Luc Nancy che nel libro Le regard du portrait nei capitoli del ritratto autonomo, della somiglianza, del richiamo, dello sguardo, solleva le questioni del soggetto come presenza-assenza, del ritrarsi dell’attrazione verso il volto inapparente di Dio, dello sguardo aveugle? In copertina e nell’interno del libro Il Corpo come Linguaggio di Lea Vergine (Giampaolo Prearo Editore), Urs Lüthi compare nel conturbante autoritratto This is about you, del 1973, con la testa giustappunto avvolta nelle pieghe del copricapo orientale, le sopracciglia ridisegnate, le labbra, beanti, sensualmente delineate dal rossetto, un rossetto paradossalmente in bianco e nero. Pubblicamente sovraesposta, questa è l’immagine in cui il mondo dell’arte lo identifica istantaneamente. Eppure quest’autoritratto è una trappola, una delle dissimulate seduzioni della fotografia: la bocca virtualmente troppo rossa finisce con il rinviare a un’assunzione del lutto, a quella seuil-deuil su cui convengono Lacoue-Labarthe e Santi, in una concatenazione di riflessioni sull’identità innescate da un artista che, per un certo periodo della sua attività, ha scelto di rappresentarsi, in fotografia, come travestito, ovvero come soggetto che ha rivestito altrimenti la realtà del suo immaginario. Entrato nell’immagine, Lüthi si lascia attrarre dall’abisso, senza fondo, della luce, concedendosi all’eclissi dell’abbacinazione. Come il ritratto del Giovane che guarda Lorenzo Lotto,1967, di Paolini, così Urs Lüthi, ci ha guardato negli occhi da un lettino di psicanalista, una poltrona, la proiezione di un volto materno artificialmente alterato dagli anni, un tappeto, un letto, una vasca da bagno, fantasticherie erotiche, luoghi della memoria reali o irreali, sublimi o banali, finché non ci ha voltato o fatto voltare le spalle, per farci guardare da un altrove. Come non apprezzare l’accostamento che Tiziano Santi fa dell’opera di Lüthi Vietri a Frau am Fenster di Caspar David Friedrich, dove una donna di spalle guarda il paesaggio da una finestra socchiusa. Dalle serie fotografiche anni Settanta o pittoriche, successive agli anni Ottanta, o ancora da sculture, installazioni, videoproiezioni, vetrine di oggetti, tavole ipnotiche per un ipoteticamente terapeutico training autogeno, Urs Lüthi, sguardo nello sguardo, propone l’impresentabile del vero, senza scivolare in un racconto da cui si arguirebbe l’indiziarietà delle prove, la paradossalità dell’autorappresentazione…ma anche l’indecidibile definizione dell’arte. Lo sguardo, e quello dei ritratti di Urs Lüthi incontestabilmente ci riguarda, assolve alle funzioni di guardare-sorvegliare-custodire come induce a quelle di essere guardato-sorvegliato-custodito. In Lüthi, nella catena dei significanti del ritratto, come messa in opera del soggetto, la nudità del soggetto e della persona sono metafora del disvelamento della stratificazione invisibile dei condizionamenti. L’ipersoggettività accade come mascheramento dei livelli di omologazione. Sottile in lui è la leggerezza degli ammiccamenti in questioni attinenti le nozioni di gusto… di stile italiano.

Il ritratto, nella messa in opera del doppio legame tra La vie la Mort, nella sua oscillazione tra oblìo e ricordo, non immortalerebbe la presenza, ma rammemorerebbe l’assenza in quello che ha di più immemoriale: lo sconfinamento nella regione del sacro.

La serrata, seducente, analisi filosofica di Lacoue-Labarthe, complice l’opera di Urs Lüthi, non cessa di tenere aperto l’interrogativo su una possibile decostruzione del ritratto come soggetto della pittura. (Viana Conti)

Intervengono

Mario Casanova, curatore del CACT Centro d'Arte Contemporanea Ticino, Svizzera

Viana Conti, critico d'arte e curatore

Simone Regazzoni, filosofo, insegnatne presso la cattedra di Estetica dell'Università di Genova e presso Paris VIII, Saint-Denis, Vincennes (F).

Tiziano Santi, critico d'arte

Francesca Serrati, Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce, Genova

Sarà presente Giancarlo Fenini, Console Generale di Svizzera a Genova, Console Generale di Svizzera a Genova

Con la collaborazione di Artrè, Genova, direttore artistico Arch. Bruna Solinas, e con la galleria Dieda-Artbug, Bassano del Grappa di Adriana Bonato e Giulio Zanardi e il Patrocinio del Console Generale di Svizzera a Genova Giancarlo Fenini

Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
Via Jacopo Ruffini 3 - 16128 Genova
Tel. +39 010 585772 - 010 580069; fax +39 010 532482
museocroce@comune.genova.it


www.museovillacroce.it



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Ultimo aggiornamento: 04-02-2013 17:30:40